“Frankie Boy…” Mito e Leggenda



di Lino Manocchia
Correvano gli anni ’60. Un giorno il telefono mi collegò con il Consolato Italiano, che esiste tutt’ora sulla 69ª street e Park Ave della Grande Mela. Un addetto mi comunicò che in giornata, il Console avrebbe consegnato la medaglia di Cavaliere della Repubblica al crooner più noto del mondo musicale: Francis Albert Sinatra (detto Occhi blu), figlio di Antonino Sinatra - severo capitano del dipartimento dei Vigili del Fuoco del paese, e da mamma Molly, fervida democratica, deceduta in seguito ad incidente aereo mentre raggiungeva Las Vegad per un concerto di beneficienza


E così ci ritrovammo con una diecina di colleghi americani insieme al più “grande” giornalista americano Walter Winchell (Foto tra Lino e Sinatra), da noi conosciuto in un’altra occasione. Purtroppo la cerimonia che avrebbe dovuto avere una risonanza mondiale, si riduceva alla consegna della medaglina nello studio del Console il quale concludeva l’avvenimento con una stretta di mano.
Il “cinquettio” dei rappresentanti la stampa si confondeva con i risultati sportivi della settimana e Frank si limitava a rispondere a qualche domanda personale. Il collega Winchell mi strappava qualche informazione sull’Italia e quindi mi chiedeva se conoscevo Sinatra. Certo che lo conoscevo, ma soltanto dalle cronache, e mi interessava conoscerlo.
«“Frankie Boy”, vieni, ti presento un tuo “paesano.» Fu la scintilla magica che si ingrandiva ogni qualvolta il cronista incontrava l’oriundo siculo nato a Hoboken (New Jersey) il 12 dicembre 1915, e che un giorno abbandonò i banchi scolastici per “inseguire” la scia di Bing Crosby, il suo idolo, al quale, in tempo, avrebbe dato filo da torcere.
«Franky,» disse Wintchell, «narra a Lino chi ti introdusse nel mondo dei “Big” ai quali… “non si può dire no”.»
Fatti gli auguri al “neo cavaliere” tentammo la domanda d’occasione: «Contento Mr. Sinatra del riconoscimento italiano?»
«A Hoboken, lu paese mio, lu barbiere, Francisco, tiene appeso nel salone, lu certificato e la medaglia da cavaliere. Quando Framcisco ricevette la nomina gli fecero una grossa festa…»
Un’allusione simile, estremamente chiara riverberava, senza ambage la “stizza” di colui che aveva ricevuto una ”medaglietta” simile a quelle religiose che la mamma conservava.
L’increscioso dettaglio, per fortuna accantonato quando il Governo americano consegnò a Mr. Sinatra la medaglia Presidenziale della Libertà, e qualche anno dopo, la Medaglia d’oro del Congresso.
E “lu fighiuzzo” di Hoboken, attraversando libecci professionali, arrivava in porto con valanghe di dischi che lo innalzarono nell’Olimpo musicale, col titolo di “leggenda vivente”.
Sinatra era un tipo strano, stravagante, distaccato dagli onori pomposi, sempre pronto alla battuta umoristica. Ne ebbi una riprova quando, spesso, venivo avvertito da Jilly che “Franky era in arrivo a New York”. Lo incontravo al “Club 500” di Jilly Rizzo, un ritrovo esclusivo “sponsorizzato” da Dean Martin e Frank Sinatra con Sammy Davis, caposquadra. In questo locale fece le ossa negli anni 40-50 guadagnando soltanto una cena e qualche dollaro, per gli spettacoli serali.
Il cronista, animato da un naturale orgoglio, consumava con lui una pietanza “della Casa” annaffiata da espressioni, a volte strane Alla domanda “quante volte ti sei sposato”, rispondeva::
«Il numero non conta. L’uomo non sa cosa è la felicità sino a quando si sposa. Ma allora è troppo tardi.»
Il grande crooner per la cronaca è passato sotto le forche Caudine femminili per ben 4 volte, quasi sempre con donne celebri e meravigliose, come Ava Gardner e Mia Farrow.
Alla domanda ”Hai mai avuto paura?”, rispondeva: «La paura e la nemica della logica. Se ti impaurisci finisci a terra.»
Ma la risposta che ricordo con piacere fu: «Paesà, ti auguro che tu possa campare 100 anni e che l’ultima voce che odi, sia la mia.»
Personaggio memorabile, grande, difficile da intuire, il figlio di Don Antonino Sinatra, Capitano del Dipartimento dei vigili del fuoco che aveva assaporato anche i pugni sul ring sostenendo oltre 35 incontri vittoriosi. Particolari, questi, che inorgoglivano sempre più il suo unico figlio.
Parlare del più amato cantante americano mi sembra puerile, tuttavia emisi la mia modesta domanda: “Franky, quanti dischi hai inciso durante la tua carriera?”
«Se tu potessi contarli, ti regalerei un dollaro per ogni disco. Ci potresti comprare una Ferrari,» rispose. (Al termine della sua settantenne carriera il contagiri segnava 156 milioni di dischi, n.d.r.)
Ricordiamo con piacere ed orgoglio il personaggio importante e carismatico dell’intrattenimento americano e mondiale che s’innestò nella leggenda per l’eterna giovinezza delle sue canzoni oltre che della sua voce.
Pur essendo passato più di un decennio della sua morte, il mito e la sua leggenda non sono minimamente scalfiti.

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