"Il vecchio e il bambino" di Fabio Magnasciutti - di Angela e Patrizia del Bookcafè

Una delle mostre più belle ospitate dal Bookcafè è senza dubbio quella de ”Il vecchio e il bambino”, le meravigliose illustrazioni dell’omonimo libro (Lapis), ispirato alla canzone di Francesco Guccini. L’illustratore Fabio Magnasciutti lo teniamo particolarmente nel cuore, è nata subito un’affinità tra lui e il Bookcafè. E’ stato un onore per noi ospitare un professionista serio e creativo come lui. Qualche notizia sul personaggio: Fabio nasce a Roma in data 11 maggio 1966 (Toro). Le sue collaborazioni: "la Repubblica" come "Trovaroma", “Musica!" e "il Venerdì". Cura le illustrazioni con le case editrici: Giunti, Curcio, De Agostini, I colori del mondo, Lapis. Dal 1991 insegna tecniche di base e tecniche miste presso l'Accademia dell'illustrazione.Insieme ad altri importanti illustratori come Alberto Celletti, Cristiana Cerretti, Alessandro Ferraro, Paolo Marabotto, Giancarlo Montelli, Rosario Oliva, Dariush Radpur, Pedro Scassa e Lorenzo Terranera, Fabio Magnasciutti, ha inaugurato l'apertura di un meraviglioso spazio nel cuore di Roma: spazio mostre B5, Associazione Bertanicinque, nel quale si celebra la produzione artistica e creativa di alcuni dei più noti illustratori contemporanei.Oltre ad essere un bravo disegnatore, Magnasciutti è il leader di un gruppo che suona musica Irlandese: Her Pillow. Quando Fabio parla dei suoi viaggi in Irlanda si scorge nei suoi racconti un legame quasi karmico con questa terra. Una curiosità: dorme molto volentieri in tenda.

D. Come nasce la tua passione per l’Irlanda e la sua musica?

R. Non ricordo un momento esatto in cui ho razionalizzato la mia passione per l’isola doi smeraldo., ne ero già affascinato prima di conoscerla, per sentito dire o per “luoghi comuni” come la musica, l’ospitalità, le distese verdi o, cosa più importante per quell’amore un po’ morboso per il bicchiere. Ciò che importa è che al primo contatto col suolo dell’aeroporto di Dublino ho provato un vero ed irrazionale senso di appartenenza per quella terra che mi appariva, mano mano che mi addentravo, sempre più somigliante al disegno che ne avevo fatto nei miei pensieri. La musica irlandese, nella sua sfumatura più popolare, con band come i Dubliners, i Chieftains o i più arrabbiati Fury Bros la ascoltavo già da un pezzo in sieme ad altre mie grandi passioni come il post-punk e la wave inglesi. Non amo invece particolarmente la musica cosidetta Celtica, d’ambiente ed evocatica fatta di arpe e Uillean Pipes. Voglio sentire voci che ridono per ciò di cui si deve ridere e piangere per ciò di cui si deve piangere.

D. La musica irlandese e tuoi viaggi quanto influiscono nei tuoi disegni?

R. Molto, anche se non necessariamente irlandese e non necessariamente nei disegni. Il mio primo gesto quotidiano è l’accensione dello stereo, qualunque cosa debba fare dopo e successivamente la messa in onda dell colonna sonora più adatta allo stato d’animo del momento. I viaggi? Dirò una banalità ma ogni quarto d’ora passato a disegnare, dipingere o cantare rappresenta di per sé un viaggio, più o meno bello, misterioso o, perché no, doloroso.

D. Preferisci Fabio insegnante o Fabio disegnatore?

R. Mi piacciono entrambi quando riescono a sputar fuori qualcosa che rimanga anche in solo occhio o in un solo orecchio. Li detesto entrambi quando soffrono di stipsi riuscendo unicamente a guardare l’orologio che gira o il calendario che volta pagina.

D. Quali sono i libri che hanno contribuito alla tua formazione personale e perché?

R. In ordine cronolgico: “Favole al telefono” di Gianni Rodari. Posso ancora provare il brivido per aver scorto la possibilità di osservare la vita non attraverso una lente d’ingrandimento, ma attraverso un caleidoscopio che lascia filtrare la luce, restituendo però forme e colori differenti ad ogni piccolo movimento del corpo. “Martin Eden” di Jack London, un’autobiografia che avrei voluto fosse mia, un miracolo di passione. “Viaggio al termine della notte” di Celine un tombino scoperto dietro l’angolo, una bellissima corda appesa al soffitto che si stringe lentissimamente intorno al collo.

D. Qual è il tuo pittore preferito? E il quadro?

R. Senza far torto a nessuno direi Egon Schiele; guardare le sue opere dal vivo, particolarmente le sue matite, è un’esperienza mistica, quello che, immagino, un credente dovrebbe provare in chiesa.Sebbene sia difficile selezionarne uno in particolare il quadro che preferisco è “Abbraccio” del 1917, che racchiude a mio parere le diverse anime di Schiele.

D. Una poesia che vorresti dedicarci…

R. Se intendi una poesia altrui ti dedico questa perla di Nazim Hikmet, che ho riletto volentieri in treno, emozionandomi ancora, tornando a Roma da Pescara dopo l’inaugurazione della mostra:
MOSCA, 1958
E muore e nasce a tutta forza albero stella uomo virus eccetera eccetera
un tumulto uno strepito speranza malinconia nostalgia e nasce e muorea tutto vapore
se poi intendevi una mia poesia (sebbene io scriva canzoni e non poesie, che è cosa per poeti) allora ti dedico volentieri questa, ed è la prima volta che ne rendo pubblica una non in forma cantata:
Ho incontrato il mio naso di allora pieno di odore di tiglio a maggio all’uscita di scuola
Ho incontrato i miei occhi di allora pieni di labbra rosse e seni e manie di te sul motorino
Ho incontrato le mie orecchie di allora piene di bestemmie e musica in casa in penombra
Ho incontrato le mie mani di allora piene di carne e occhi e manie di te amore
Ho incontrato tutti loro e tutti mi hanno dato del lei chiamandomi “signore”.

Grazie a presto al Bookcafè