di Lino Manocchia
Con una lunga stretta di mano, si autopresentò::«Sono Salvador Domingo FelipeJacinto Dalì Domenech, marchese de Pubol, nonchémaestro dei maestri, ”il divino”, l’Aristotele del Pennello, ”il genio”.» Eravamo verso la fine del 1970, ed il motivo della sua presenza era collegata ad una mostra “realista” al Waldorf Astoria di New York.
foto, Dalì al microfono del nostro Lino
Simile più ad un patriarca, ad un profeta vivente che un noto artista, il maestro accennò al suo passato, una cornucopia indescrivibile di eventi, senza tralasciare l’occasio-ne per accusare l’Accademia quando nel 1926 lo espulse poiché «nessuno in quell’Istituto era abba-stanza competente per sottoporre ad esame uno come lui.»
Una studiata lisciatina agli stravaganti mustachi affilati all’insù, e si dichiara pronto a rispondere a “tutte le domande a lui pertinenti.”
Dalì, frequentò una scuola d’arte e, nel 1918, durante una visita a Parigi, “scopri” la pittura moderna. L’anno seguente, il padre del “futuro divino” organizzò nella residenza di famiglia una mostra dei suoi disegni a carboncino. La prima vera esposizione pubblica la fece nel 1919 al Teatro Municipale di Figueres
Dalì era un abile disegnatore tecnico, celebre sopratutto per le Immagini suggestive e bizzarre delle sue opera surrealistiche. Il suo peculiare tocco è stato spesso attribuito all’influenza che ebbero su di lui i maestri del Rinascimento.
Ma quando si accorse di essere un “genio?
«Cominciai dicendolo. E a forza di dirlo lo sono diventato.»
Don Salvador era convinto che I poeti ed I geni non s’ispirano, ma ispirano. L’ispirazione di essere pittore esisteva dall’infanzia. Tuttavia a sei anni voleva diventare cuoco, a dieci condottiero, come Napoleone. Il “genio” rispettava tre grandi artisti del passato:.”:Raffaello, Velasquez e Vermeer.”
E dei maestri di oggi “, chiediamo?
«Dopo di me?… naturalmente Picasso, Mirò, Miralles, tutti spagnoli.»
Dalì fu un uomo dotato di una grande immaginazione ma con il vezzo di assumere atteggiamenti stravaganti per attirare l’attenzione su di se. L’artista di Figueres pensava che
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ABRUZZOpress – N. 037 del 26 gennaio ’12 Pag 2
nell’arte non si è mai arrivati poiché «su questa terra, la perfezione non esiste, in quanto è un attributo angelico,» e inoltre a lui personalmente piaceva essere considerato incompreso, poiché tutto questo lo rendeva misterioso al punto di non comprendersi.
Allo scadere del 1943 l’artista viene presentato negli Stati Uniti dal mercante d’arteJulian Levi. La sua esposizione di New York creò subito scalpore, interese. L’alta società lo accoglie organizzando uno speciale “Ballo in onore di Dalì”,.al quale si presentò portando sul petto una scatola di vetro contenente un reggiseno..
Nel 1940 Gala e Salvador concepiscono il loro unico figlio: Josè Van Roj Dalì. Per il “Maestro dei maestri” la moglie rappresentava un amore illimitato, l’unico della sua vita.
In Europa scoppia la Seconda Guerra mondiale ed i Dalì si trasferiscono negli Stati Uniti, dove vivono per otto anni, e l’artista si dedica alla scrittura di romanzi e sceneggiature cinematografiche. Nella sua autobiografia Dalì scrive: «Il surrealismo perlomeno sarà servito a fornire la prova sperimentale che la completa sterilità ed I tentativi di automatizzazione si sono spinti troppo in la ed hanno condotto ad un sistema totalitario. La pigrizia dei nostri giorni e la totale mancanza di tecnica hanno raggiunto il loro parossismo nel valore psicologico dell’attuale uso che si fa del college.»
Mentre la maggior parte degli artisti surrealisti tende ad assumere posizioni politiche di sinistra, Dalì si mantiene ambiguo riguardo quello che considera il giusto rapporto tra la politica e l’arte, e venne accusato di difendere il ”nuovo” e l”irrazionale” del fenomeno Hitler, ma l’artista respinse dicendo: «Non sono un seguace di Hitler, né nei fatti, né nelle intenzioni.»
Nelle opere dell’artista della Catalonia alcune tendenze, che poi son rimaste costanti, sono evidenti in quelle degli anni venti. Nelle sue prime opere, ammetono gli esperti in materia, c’è l’impronta di Raffaello, Bronzino Vermer e Velazquez.,
Alla nostra richiesta il “maestro” spiega la natura dei suoi “vistosi storici baffi”, ispirati dal grande maestro del Seicento spagnolo, Diego Velazquez, baffi che divennero un tratto inconfondibile e caratteristico del suo aspetto per il resto della vita.
Agli inizi del 1949 Dalì tornò a vivere nella sua Catalonia, ricevendo vaste critiche poiché quello era il periodo di governo del generale Franco e l’artista era certo che il diffuso rifiuto delle ultime opere di Dalì da parte di alcuni critici d’arte, sia stata in parte da attribuirsi a ragioni politiche più che una valutazione artistica delle opera stesse. In questa parte della sua carriera Dalì non si limita ad esprimersi con la pittura ma sperimenta anche nuove tecniche artistiche e di comunicazione mediatica, realizza opere sviluppando macchie di inchiostro casuali lanciate sulla tela ed è tra I primi artisti a servirsi di olografie.
Chiediamo: Don Salvador pensa più al passato o guarda più al futuro?
Non prese molto tempo per rispondere: «Al futuro, poiché al passato penso soltanto per difendermi.» Interlocutore amabile, contradditore agguerrito, non esita a rispondere ad un’altra mia domanda: Maestro, quanto vale un Dalì?
«Non saprei,» risponde.
Quanto, allora, Dalì?
«Non ha prezzo.»
Come vorrà essere ricordato?
«”Fu sempre se stesso”. L’unica differenza tra me e i surrealisti è che io sono
un vero surrealista.»
Il 28 gennaio 1989, ricoverato in ospedale, mentre ascoltava il suo disco preferito: ”Isotta e Tristano” il cuore lo abbandonava. Aveva 84 anni
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