A bordo del San Pietro mentre tira il fortunale

New York, 30.12.2011 - La vita di mare a bordo di un peschereccio di Giulianova, la mia Giulianova, su un Adriatico impazzito. Si salpa. L’argano sveglia la catena che stride, sale, s’aggomitola. Ci si stacca dall’ormeggio. Si doppia la punta del molo, mentre le macchine prendono ad ansimare che quasi fanno pena, sembrano già stanche.


L’Adriatico è impazzito. Pazzo il mare, pazze le onde che rifioriscono di spuma, pazzi l’ossigeno, l’idrogeno ed il cloruro di sodio. E chissà come se la caveranno quei poveri pesci in un inferno del genere.

Da prua, il Capobarca, Umberto Palestini, intabarrato nel nero impermeabile, mi chiama. Con un gesto mi indica la nostra città che si fa sempre più piccola, mentre una pioggia fine, insistente che penetra nelle ossa, comincia a cadere. Il vento rovescia le sue raffiche furiose, urla e geme come un motore a gas e quando incontra qualcuno ne trapassa i vestiti, s’infila nei pertugi, anche se sei geloso, ti spoglia. Il vecchio capitano mi porge un paio di limoni che spremo nella bocca, contro il mal di mare. Quando è freddo così, i limoni sanno quasi di alluminio, ma fanno bene. A quattro miglia dalla costa le reti sono già calate, stanno giù sottobordo.

L’acqua ribolle un po’, la spuma galleggia, poi fugge con le onde che si susseguono incessanti e nervose. "Così tireremo" mi dice padron Palestini, "per un paio d’ore"… Poi rovesciano il ’sacco’, lì, sulla tolda, come uno scrigno sovrannaturale. E sembra il parto fulgente del mare. Il grigio del merluzzo, il rosso argenteo delle triglie, frammisto alle alghe ed i granchi...tutto come un cuore in tumulto.

Il cuore della profondità che freme e stormisce come una spirante divinità boschereccia. Ma il marinaio non è un poeta. Con flemma quasi meccanica affonda le mani in quel tesoro, quelle mani che stringono gli ultimi aneliti di tante vite e con matematica cadenza, sceglie, vaglia e suddivide quella che per lui è la ’merce’. Pian piano i palpiti si spengono in sussulti e fremiti spasmodici, e il tesoro si placa, qualche merluzzo spalanca qua e là ancora una volta la sua bocca nera nelle ultime convulsioni. E non mi sembra più il parto del mare, così senza vita. Un brodetto alla marinara è sempre una specialità che vale la pena di gustare. E in mezzo a tanta giovialità marinaresca, fra il vino rosso ed il pane nero, fra i brindisi e le risate, ho mangiato anch’io il brodetto con le mani, così, succhiando le teste e le spine, intingendo il pane nel sughetto rosso e stuzzicante di zenzero.
E il tempo intanto trascorre lento e uggioso, il freddo intirizzisce le membra e imbalsama il pensiero. I marinai eseguono le loro manovre come se il vento non spirasse per loro. Quando si assiste ad un simile spettacolo, con un simile cuore, si deve credere per forza che la febbre costoro ce l’abbiano nel sangue e che nessuna brutalità potrà spegnere quel fluido pasciuto di aria e di salsedine.
E’ il vespro. Per me questo è il tramonto straordinario di una giornata di grande bellezza. Ma per il marinaio è un tramonto come un altro. Domani egli riprenderà la sua crociera laboriosa e dopodomani ancora e forse per sempre fino a che le ossa pregne di salsedine non lo lasceranno a terra a rimirare il battello che si stacca dal molo col suo motore che ansima da far pena; e allora lo prenderà un accoramento, una nostalgia, rimpianto velato. E come Narciso si rivedrà giovane dalle sode braccia muscolose e dai piedi nudi.

Sempre saturi d’acqua marina. E non saprà fare a meno di irritarsi, povero vecchio, se il giovane figlio lancerà lento il cavo d’ormeggio o se un giovane allievo bordeggerà di fianco i marosi. I giovani che lo sanno, lasceranno che egli dica: “Eh!... ai tempi miei”.

Il porto si profila sempre più nitido e vicino. Allora il capitano si stacca dagli strumenti di bordo, "Bravo, niente mal di mare" mi dice e mi stringe la mano, "la prova del fuoco è stata superata". "Grazie ai limoni" dico io. Poi chiedo: "Quanta pesca il San Pietro per la crociera?" "Dipende, dai 25 ai 30 quintali di pesce. Dipende dalla zona e dal tempo".

Siamo all’imboccatura del porto. Mi lascia per eseguire la difficile manovra. Il battello si destreggia splendidamente ed in breve ci troviamo tra i due moli. L’ancora cade in acqua con un tonfo cupo mentre le macchine, a regime minimo, spruzzano le ultime gocce di nafta. Vari marinai saltano a bordo, i proprietari, padron Ercole e soci, si congratulano col Capitano e s’intrattengono con i reduci della pesca.

Mi trovo spaesato perché nessuno ora si occupa di  me. Gente rude, questa del mare, gente speciale, tutta una razza a se che passa dalla giovialità più semplice e spontanea alla noncuranza più completa.
Scendo dalla banchina che gli operai stanno ricostruendo e guardo lassù, la citta’ sulla verde collina cosparsa di un lieve manto di neve. E sento una velata nostalgia della casa, di una casa che non balli sulle onde e non sappia di salsedine e di alghe marine. La mia casa.

Commenti

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