Spesso, nel lungo essere del palco, capitano storie paradossali di normale follia “intellettuale”, oppure a intendersi meglio, atti di capricciose vanità…
Ora, se la cosa si può giustificare nel dietro schermo, grande o piccolo che sia, la medesima situazione giustificabile non è, e tampoco si può tollerare nell’ambito teatrale, che di tutto ha bisogno, fuorchè di tali accidenti fastidiosi. Si sta parlando di divismo, signori!Si dirà: la storia del teatro racconta sempre di divi e dive, molte di queste hanno fatto letteratura e mitologia. Appunto! Quando si ha il dono direttamente dagli dei dell’Olimpo scenico…si può dire: io posso farlo, tu no!
La divina Eleonora Duse,la fragile eleganza di Sarah Bernardt,la follia creativa del grande Gassman, la prorompente intellettualità dell’immenso Albertazzi, la classe irripetibile di Sir Laurence Olivier…ma questi nomi sono la cultura, il talento, il genio, sono in una parola, IL TEATRO!
Voci, volti, cadenze che hanno donato al mondo l’emozione, cioè l’autentica essenza della cultura,perché, diciamocelo, senza emozione, la vita è una noia mortale e cade in pasto all’ignoranza!
Per questo esiste il non sapere, per apprezzare il suo contrario. Perché quando dai volti sparisce il sorriso, si occulta il pianto, si nasconde il brivido, quando non appare l’emozione, non ha più senso l’arte.
Allora, entra in gioco l’idea devastante del mercato, che tutto ingoia.
Direte: ma che c’entra con il divismo? C’entra, come l’idea di apparenza in una città provinciale, dove il mediocre ostenta la sua infinita nullità !
Figlio egocentrico e bastardo dell’invidia, il divismo, spesso si cela in individui di natura ben messi nelle apparenze, belli da vedere, ma molto spesso (leggi: sempre!) scarsi di talento artistico, con abbondanza di materia grigia in disuso!
Costoro, credonsi geniali, talentuosi e portatori di grandi verità culturali, ma poi alla fine dei conti, quando vengono inseriti in una compagnia, recano disturbo e diventano appendici, che se eliminate, non recano alcunchè di danno.
Mi hanno raccontato una storia come questa: “Una compagnia teatrale tra le più conosciute, composta da persone innamorate della cultura prepara il suo spettacolo di alto valore storico e culturale.
L’autore, regista noto in quel di Pescara, mette nome, volto, soldi e salute, per dirigere e produrre lo spettacolo e allo stesso modo, gli attori donano il proprio impegno serale che faccia freddo, piova o che ci sia la neve, lavorando con la modestia di chi sa amare in silenzio, aiutandosi come un gioco di squadra vincente, rinunciando, per quanto possibile a sollazzi d’altro genere, per l’immortale passione del palco e in questo gioco virtuoso capitano degli accidenti che rischiano di mandare tutto a monte.
In questa compagnia, ci sono attori geniali, altri di talento, altri bravi, altri ancora di buon mestiere e di provata esperienza ma spesso entrano in gruppo delle autentiche schiappe che essendo belle (ma di talento sottozero) pensano che tutto sia dovuto alla loro beltà. Sagome di cotal forma, alle prese con le difficoltà del testo, diventano autentiche piaghe bibliche, quando incominciano a credersi migliori di altre che hanno qualità superiori, palesemente visibili. La persona indicata scarica su altri le sue lacune e le frustrazioni per poi crepare di gelosia perchè, rendendosi conto di non essere all’altezza abbandona la compagnia, pensando di mettere in crisi lo spettacolo.”
Ora c’è da chiedersi, se in un ambito culturale questo tipo di atteggiamento
sia un atto creativo(!?) o una aberrazione culturale. Agli amanti del teatro una domanda simile non si fa!
Probabilmente, si tratta della seconda che abbiamo detto! La parola in teatro si rigenera di suono in suono,per poi elevarsi a sacralità!
E questo divismo di provincia, becero, feccioso, generato da invidia, a sua volta figlio naturale della nullità, fa solo male alla nobiltà del teatro,che come sempre seleziona,e prima o poi ti sbatte fuori, divo o non divo.
Nel passato,come già detto,grandi attori hanno “divinizzato” è vero ma potevano farlo, avendone i mezzi e gli attributi in dotazione portando ricchezza culturale,elevando la parola ai massimi sistemi dell’emozione,e la voce alle vibrazioni infinite dell’iperspazio…
Per usare una metafora sportiva,non puoi fare Maradona se sei un brocco…
E di queste anomalie,per chi fa cultura è meglio farne a meno!
Ora, se la cosa si può giustificare nel dietro schermo, grande o piccolo che sia, la medesima situazione giustificabile non è, e tampoco si può tollerare nell’ambito teatrale, che di tutto ha bisogno, fuorchè di tali accidenti fastidiosi. Si sta parlando di divismo, signori!Si dirà: la storia del teatro racconta sempre di divi e dive, molte di queste hanno fatto letteratura e mitologia. Appunto! Quando si ha il dono direttamente dagli dei dell’Olimpo scenico…si può dire: io posso farlo, tu no!
La divina Eleonora Duse,la fragile eleganza di Sarah Bernardt,la follia creativa del grande Gassman, la prorompente intellettualità dell’immenso Albertazzi, la classe irripetibile di Sir Laurence Olivier…ma questi nomi sono la cultura, il talento, il genio, sono in una parola, IL TEATRO!
Voci, volti, cadenze che hanno donato al mondo l’emozione, cioè l’autentica essenza della cultura,perché, diciamocelo, senza emozione, la vita è una noia mortale e cade in pasto all’ignoranza!
Per questo esiste il non sapere, per apprezzare il suo contrario. Perché quando dai volti sparisce il sorriso, si occulta il pianto, si nasconde il brivido, quando non appare l’emozione, non ha più senso l’arte.
Allora, entra in gioco l’idea devastante del mercato, che tutto ingoia.
Direte: ma che c’entra con il divismo? C’entra, come l’idea di apparenza in una città provinciale, dove il mediocre ostenta la sua infinita nullità !
Figlio egocentrico e bastardo dell’invidia, il divismo, spesso si cela in individui di natura ben messi nelle apparenze, belli da vedere, ma molto spesso (leggi: sempre!) scarsi di talento artistico, con abbondanza di materia grigia in disuso!
Costoro, credonsi geniali, talentuosi e portatori di grandi verità culturali, ma poi alla fine dei conti, quando vengono inseriti in una compagnia, recano disturbo e diventano appendici, che se eliminate, non recano alcunchè di danno.
Mi hanno raccontato una storia come questa: “Una compagnia teatrale tra le più conosciute, composta da persone innamorate della cultura prepara il suo spettacolo di alto valore storico e culturale.
L’autore, regista noto in quel di Pescara, mette nome, volto, soldi e salute, per dirigere e produrre lo spettacolo e allo stesso modo, gli attori donano il proprio impegno serale che faccia freddo, piova o che ci sia la neve, lavorando con la modestia di chi sa amare in silenzio, aiutandosi come un gioco di squadra vincente, rinunciando, per quanto possibile a sollazzi d’altro genere, per l’immortale passione del palco e in questo gioco virtuoso capitano degli accidenti che rischiano di mandare tutto a monte.
In questa compagnia, ci sono attori geniali, altri di talento, altri bravi, altri ancora di buon mestiere e di provata esperienza ma spesso entrano in gruppo delle autentiche schiappe che essendo belle (ma di talento sottozero) pensano che tutto sia dovuto alla loro beltà. Sagome di cotal forma, alle prese con le difficoltà del testo, diventano autentiche piaghe bibliche, quando incominciano a credersi migliori di altre che hanno qualità superiori, palesemente visibili. La persona indicata scarica su altri le sue lacune e le frustrazioni per poi crepare di gelosia perchè, rendendosi conto di non essere all’altezza abbandona la compagnia, pensando di mettere in crisi lo spettacolo.”
Ora c’è da chiedersi, se in un ambito culturale questo tipo di atteggiamento
sia un atto creativo(!?) o una aberrazione culturale. Agli amanti del teatro una domanda simile non si fa!
Probabilmente, si tratta della seconda che abbiamo detto! La parola in teatro si rigenera di suono in suono,per poi elevarsi a sacralità!
E questo divismo di provincia, becero, feccioso, generato da invidia, a sua volta figlio naturale della nullità, fa solo male alla nobiltà del teatro,che come sempre seleziona,e prima o poi ti sbatte fuori, divo o non divo.
Nel passato,come già detto,grandi attori hanno “divinizzato” è vero ma potevano farlo, avendone i mezzi e gli attributi in dotazione portando ricchezza culturale,elevando la parola ai massimi sistemi dell’emozione,e la voce alle vibrazioni infinite dell’iperspazio…
Per usare una metafora sportiva,non puoi fare Maradona se sei un brocco…
E di queste anomalie,per chi fa cultura è meglio farne a meno!
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