Dionisio e Apollo - scritto da Maya Dog

Friedrich Nietzsche, nella sua prima pubblicazione La nascita della tragedia (1876), introduce le categorie di apollineo e dionisiaco. Queste due categorie gli servono principalmente per indagare il senso più profondo della tragedia attica del V secolo a.C., manifestazione della sintesi armonica tra gli attributi, le sfere d’azione di Apollo e di Dioniso. Difatti, questi due dèi, entrambi centrali nel pantheon greco, secondo la lettura del filosofo tedesco sono agli antipodi: Apollo è il dio delle arti plastiche, visive, della pittura, della scultura, e in definitiva dell’armonia e della misura. Dioniso è il dio dell’eccesso, della musica, dell’ immediatezza, e la follia attraverso cui possiede i suoi seguaci è l’oblio di sé, lo straripamento dagli argini della vita quotidiana, la pienezza. Il sogno di Apollo e l’ebbrezza di Dioniso, dunque.

Come viene realizzata questa sintesi?

Per capire il significato più profondo della tragedia greca bisogna partire dal coro: “Nietzsche ci ha svelato che quanto lo spettatore ateniese vede laggiù […] non è altro che uno spettacolo per il coro, una visione che appare al coro. Quindi chi agisce - l’attore sulla scena – non esiste, è soltanto uno spettacolo in assoluto, e quanto al coro, che agisce e contempla assieme, è spettacolo per lo spettatore. “
Dunque lo spettacolo non è altro che il sogno del coro, che Apollo, grazie alla sua “magia risanatrice”, fa vedere, racconta al pubblico, proprio come i sogni delle persone sono delle proiezioni, delle materializzazioni che rendono per così dire tangibile, raccontano l’inconscio.
Il coro agisce attraverso le parole e la musica, che non è però un semplice accompagnamento allo spettacolo, un sottofondo alle immagini: anzi, in un certo senso è proprio la musica a produrre la visione, e non viceversa. Essa attinge più direttamente all’inconscio, evoca una nebulosa di immagini che poi vengono come fissate, determinate dalla visione della scena, da Apollo.
Il coro è l’elemento che rappresenta il dionisiaco.

Esso agisce e non agisce: “L’estasi dello stato dionisiaco con il suo annientamento delle barriere e dei limiti abituali dell’esistenza contiene, mentre dura, un elemento letargico, in cui si immerge tutto ciò che è stato vissuto personalmente nel passato. Così, per questo abisso di oblio, il mondo della realtà quotidiana e quello della realtà dionisiaca si separano. Ma non appena quella realtà quotidiana rientra nella coscienza, viene sentita con nausea come tale; una disposizione ascetica, negatrice della volontà, è il frutto di quegli stati. […] l’uomo dionisiaco […] ha gettato una volta uno sguardo vero nell’essenza delle cose, ha conosciuto, e prova nausea di fronte all’agire, giacchè la sua azione non può mutare nulla nell’essenza eterna delle cose. […] La conoscenza uccide l’azione, per agire occorre essere avvolti nell’illusione.” L’eroe è visto dal coro (e dal pubblico) mentre si precipita inevitabilmente e ciecamente incontro al suo destino di morte: l’azione non esiste, tutto ciò che accadrà è già stabilito, e solo la sua inconsapevolezza permette all’eroe di illudersi di agire. Dioniso, il dio della pienezza, della possessione orgiastica, dello straripamento e dell’immediatezza della vita diventa improvvisamente, e proprio in ragione della sua pienezza, il dio dell’ascesi come immobilità e rinuncia all’azione.
Questo sguardo gettato nell’abisso è poi risanato, protetto da Apollo con la sua visione di sogno, con l’armonia, la misura delle immagini e delle parole.

Per concludere occorre fare un’ultima ma importante precisazione sulla natura di Apollo. La contrapposizione tra Dioniso ed Apollo, anche se funzionale all’indagine di Nietzsche, non è così netta come lui vorrebbe far sembrare: entrambi gli dèi, infatti, prima di tutto sono accomunati dal possedere l’uomo attraverso il dono della follia.
La follia di Dioniso è quella dell’ebbrezza, del traboccamento degli argini dell’individuo.
La follia di Apollo, il dio cui appartiene l’oracolo di Delfi, è quella della divinazione: il divinatore pronuncia la parola ricevuta dal dio “con bocca folle”. La stratificazione e l’intreccio di tali opposizioni ed identità tra i due dèi rende il mito ancora più profondo e pregnante di quanto Nietzsche stesso non avesse indovinato nella Nascita della tragedia.
Bibliografia
Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia; Adelphi, Milano 1972.
Giorgio Colli, Dopo Nietzsche; Adelphi, Milano 1974.
Giorgio Colli, La nascita della filosofia; Adelphi, Milano 1975.

Commenti