di Stefano de Carolis
Oggi, con un gesto automatico, è
facile aprire il frigorifero di casa e procurarsi del ghiaccio o una
bibita fresca per dissetarsi nelle calde giornate d’estate, ma
anticamente questo era impossibile ed inimmaginabile.
Tuttavia, l’uomo fin dai tempi
antichi, ha scoperto le pontenzialità dell’utilizzo della neve,
per poter conservare gli alimenti, refrigerare le bevande, produrre
gelati e sorbetti, e nella ‘farmacopea popolare’, per curare la
febbre, disturbi intestinali, ascessi e contusioni.
La neve veniva anche utilizzata da
alcune comunità monastiche, per la conservazione dei loro
prodotti, come i formaggi e le carni. A tal proposito è interessante
visitare la neviera presente nel complesso conventuale della Madonna
del Palazzo di Rutigliano, nella via per Turi, neviera del XVIII
sec.
La ‘niviera’ o ‘neviera’
(NEVERA in spagnolo = frigorifero initaliano), antico manufatto
architettonico, composto da una cisterna o pozzo, a pianta
rettangolare, scavata nella roccia con una profondità che varia tra
4 e i 12 mt., e con struttura sovrastante in pietra calcare, avente
volta a botte e tetto in pietra. Presenta sulla volta, una apertura
di ‘scarico’, ed altre due laterali. In questi particolari
depositi, i nostri avi, dopo aver trasportato e stivato la neve, con
il trascorrere di qualche mese, avevano a disposizione un enorme
riserva di ghiaccio.
La neviera, oggi, può essere
considerata a tutti gli effetti, un monumento di archeologia
agricolo- industriale, da tutelare e salvaguardare per le future
generazioni.
Nella nostra Regione, vista la
conformazione orografica del territorio, le neviere, venivano
costruite in prevalenza nei declivi dei terreni, all’interno di
grandi masserie, castelli, palazzi gentilizi, e talvolta costruite
all’interno delle mura del paese.
Molte di queste strutture
architettoniche, sono state alterate dal tempo e cancellate
dall’incuria dell’uomo.
Alla neviera, lavoravano circa 10-15
operai, che al primo cadere della neve, con cura la raccoglievano dai
campi, e la trasportavano in loco. All’interno della neviera,
operavano altri operai chiamati ‘insaccaneve’. Questi con i
piedie le loro scarpe avvolte in sacchi di canapa, calpestavano e
compattavano con cura la neve nella cisterna. Chiaramente le scarpe
erano foderate, per evitare che durante la ‘stivatura’, la neve
venisse contaminata da corpi estranei.
Gli stessi erano muniti di appositi
attrezzi di legno, chiamati ‘Paravisi’, questi avevano forma
rettangolare, cm.40X30, ed infisso al centro avevano un manico in
legno alto circa un metro. Con tale pesante attrezzo, gli operai
compattavano la neve depositata, e dopo aver ‘constipato’ il
primo strato di neve che doveva avere uno spessore di circa cm. 40,
nella parte laterale della cisterna, inserivano della paglia, utile
per isolare la neve dalle pareti, creando una intercapedine.
Compattato il primo strato di neve, lo si copriva con uno strato di
paglia, detta ‘Cama’ (dal termine inspagnolo=letto). E
successivamente, se ne formavano altri stratisuccessivi, fino al
raggiungimentodel bordo superiore della cisterna. L’ultimo strato
di paglia era il più abbondante, e sopra di esso si ponevano
numerosi sacchi di canapa, ed un pò di terra. La chiusura della
neviera, avveniva utilizzando alcune pesanti tavole, che premevano su
tutti gli strati di neve sottostante. Per ultimo le tavole venivano
coperte da grandi teli di canapa, e su di esse, si sovrapponevano
rami di ginestre e fascine di mandorlo, andando a creare una
ulteriore camera d’aria, questa era necessaria per non far
sciogliere la neve. Poi l’escursione termica notturna provocava
raffreddamenti, che con le rifusioni diurne, permettevano alla neve
di trasformarsi in ghiaccio.
Per evitare lo scioglimento del
ghiaccio durante il trasporto dalla neviera allo spaccio di vendita,
gli operai, dopo averlo tagliato utilizzando grosse accette, erano
soliti deporlo in sacchi di canapa contenenti paglia pulita, e lo
caricavano sulla groppa di asini o sui traini. Tutte le fasi della
lavorazione, erano sotto il controllo attento del proprietario o
dell’appaltatore della neviera.
A Turi, come in altri paesi della
murgia, si svolgeva l’importante attività commerciale della
vendita della neve. Tanto importante che sin dagli inizi del 1600, i
governi applicarono una ‘gabella’ sulla neve, pagata
dall’appaltatore al Comune. Tale imposta si continuò a pagarla
sino alla fine del 1800.
Le gare d’appalto, si bandivano
attraverso l’affissione di manifesti, affissi dietro la porta
comunale. In base alle offerte, si procedeva alle subaste, e
l’aggiudicazione avveniva con il metodo dello spegnimento della
candela vergine. Gli appaltatori dovevano essere sempre garantiti
solidalmente da un paesano di indubbia moralità.
Il 30 Aprile 1860 il Sindaco Michele
Caracciolo ed il decurionato del comune di Turi, come ogni anno
delibera:
‘…che la vendita della neve avverrà
dal 15 Maggio al 31 Ottobre, la neve sarà bianca, mangiabile e
scevra di corpi estranei, il prezzo sarà di grana 3 (tre euro di
oggi) a rotolo (1 rotolo=890gr.) i compratori non potranno prendersi
una quantità minore di un quarto di rotolo (gr.222).
…inoltre lo spaccio della neve,
avverrà nelle vicinanze della piazza e sarà aperto dal nascer del
sole sino alle ore tre di notte. In caso d’urgenza verrà aperta in
tutte le ore della notte ; la neve non deve mancare ne di giorno né
di notte…
Nel capitolato d’appalto relativo
alla vendita della neve a Turi, si indicava altresì: ‘… si potrà
fornire ai caffettieri e gelatieri fino a Kg.10 di neve per ciascuno
durante la giornata…’
Gli appaltatori e venditori della neve
con ‘privativa’ a Turi dal 1860 al 1902:
Marco Valentini, Saverio Fiore,
Giuseppe Resta fu Domenico, Giovanni Raimondi ‘commerciante’,
Fortunato Vito Stefano ‘bottegaro’, Achille Cardone ‘scribente’,
Bellini Andrea, Donato e Vincenzo Carenza, Pasquale Giove di Gioia
del Colle. Inoltre vendevano la neve i ‘caffettieri’: Bartolomeo
Resta fu Onofrio, con locale ad uso ‘bottega da caffè, nel largo
della piazza, Giovanni Maurantonio, Tomaso Di Tonno, Capone Paolo di
Giuseppe
Le neviere a Turi
“Niviera nell’arco dei pozzi”,
in tempi antichi era posta nella piazza del paese, denominata ‘Largo
San Domenico’ ,probabilmente di proprietà del Barone di Turi,
Francesco Moles. Ad Oggi, la neviera è ubicata in via XX Settembre,
(sotto il palazzo Elefante). La struttura si presenta scomposta in
due grandi locali interrati e sovrapposti, entrambi con la volta a
‘botte’, e a pianta rettangolare mt. 15X5X5. Sulle pareti delle
due cisterne, sovrastano tre grandi archi in pietra ‘a tutto sesto’
, per un’altezza totale di circa mt. 14. I pilastri delle arcate si
innestano negli ‘intradossi’ delle volte. Nelle due cisterne sono
presenti lateralmente, due grandi ‘gettatoi’ aventi ingresso dal
cortile interno al palazzo. Ad oggi i locali a pian terreno e
l’interessante ed imponente neviera, sono di proprietà del Dott.
Tonino Coppi.
“Neviera pubblica”, posta
all’imbocco di via Stazione (lato dx), attualmente è allocata
sotto un antico edificio (ex palazzo De Carolis Vito Stefano). Questi
negl’anni 30, fece costruire l’abitazione, inglobando al suo
interno, l’antica e grande neviera pubblica. Negl’anni successivi
la neviera venne trasformata in fresche cisterne per il vino.
‘Nevieradi Maggialino’, antica
neviera posta in un terreno di via noci, nei pressi dei pozzi di Don
Cicere, la stessa è citata in documenti del XVIII sec° (vedi
articolo omicidio Caraccciolo). Oggi di questa neviera, ne rimane il
solo ricordo di chi l’ha vista e ammirata: “la neviera era
ubicata in un terreno dell’estensione di circa un vignale, di
proprietà della turese Pagliaruli Maria, era posizionata a 50 metri
dal fronte strada (via Noci), aveva una cisterna a forma
rettangolare, scavata nella roccia, dalle dimensioni 5mt X 10mt, ed
una profondità di circa 10 metri. Con la vendita del terreno,
avvenuta qualche decennio fa, l’antica neviera, ormai ridotta ad un
rudere, fù demolita e completamente cancellata, e al suo posto il
nuovo proprietario piantò un bel tendone d’uva.
‘Neviera del Notar Gazzilli’,
allocata nell’attuale piazza XXV Luglio. Neviera sicuramente
antica, in quanto era situata vicino alle antiche mura urbiche di
Turi. Di dimensioni ridotte, ha una pianta rettangolare di circa mt.
12x4x4. Con molta probabilità diversi anni addietro, la neviera ha
subito qualche alterazione strutturale. Anni fa, al suo interno era
ubicato il frantoio oleario di Daddabbo Vito Nicola. Oggi, al suo
interno, nella volta, sono presenti i boccagli di scarico, quello più
grande è situato in corrispondenza della strada. Tutti i boccagli
sono tompagnati. L’attuale proprietario, è il Dott. Tonino Coppi.
“Neviera del Marchese Venusio”:
antichissima neviera, posta all’interno del palazzo Marchesale, era
in uso esclusivo ai feudatari e signori di Turi. La neviera dei
Venusio, è indicata nell’apprezzo del Regio Tavolario, redatto da
Luca Vecchione nel 1746.
“Nevieradella masseria di Musacco”
sec. XVII°, l’unica testimonianza di neviera rimasta intatta nel
territorio di Turi, sopravvissuta all’incuria del tempo e alla
distruzione operata dall’uomo. L’edificio è interamente in
pietra calcare, si compone di due vani uno dei quali sovrasta la
cisterna, profonda circa mt. 8. L’edificio si presenta con le volte
a botte e tetto a spioventi, coperto da ‘chiancarelle’ in pietra.
La pianta è rettangolare, con dimensioni di mt.15x7 circa. Il suo
ingresso è rivolto ad ovest. E’ provvista di una piccola
finestrella sul lato opposto, in corrispondenza della cisterna quasi
a livello terra, punto da dove veniva scaricata la neve. La neviera è
rimasta inalterata, anche se necessita di restauro conservativo. Dal
10 Agosto 2005, la neviera è sottoposta a vincolo architettonico,
come disposto dal D.Lvo.42/2004 (già L. 1089/39). Nel decreto di
‘vincolo architettonico’ del MiBACT di Roma, rientra anche il
vincolo indiretto con la tutela e la salvaguardia dell’antico
albero di roverella che si erge nei pressi dell’antica neviera.
‘Neviera del palazzo Franchini’,
ubicata sotto il palazzo che fu di Alfredo Franchini, oggi di
proprietà della famiglia Volza. La neviera ha dimensioni mt. 12x15,
profonda circa 10 metri. Sotto il grande androne del palazzo, c’è
un una cantina altrettanto grande, con volte a botte, dove al suo
interno presenta un grande boccaglio di mt.4x4, contornato da un
muretto alto 50 cm. La defunta Galeandro Rosa, consorte del
proprietario Volza Nicola, raccontava a suo nipote Pino, che per
scendere nella neviera si passava dal boccaglio, utilizzando una
scala a chiocciola in pietra. Oggi il grande boccaglio della neviera
è tompagnato. Con molta probabilità la neviera è più antica dello
stesso palazzo ottocentesco, al cui interno è stata inglobata
successivamente.
E, infine, raccontiamo di un’ottava
neviera, accanto alla casa abitata un tempo dalla famiglia Pedone
(sèrpenègre) in via Casamassima. Profonda circa 5 metri e mezzo,
con una larghezza di circa 7 metri. Stando alle considerazioni degli
ultimi testimoni.
Per ultimo, dalla ricerca storica, da
un documento del 1748, è emerso un riferimento di toponimo ormai
scomparso nel nostro paese, dove vengono menzionate alcune terre, in
via Mola, coltivate a vigneto, stranamente denominate “li deserti
dellaneviera”.
Il toponimo andrebbe meglio indagato,
perché sicuramente può racchiudere altre conoscenze e altri indizi.
Alla luce di quanto studiato dai
documenti archivistici, si può dunque affermare che il territorio di
Turi era ricco di neviere, e che le precipitazioni nevose, erano
frequenti ed abbondanti nel passato. Così come vitali erano le
funzioni derivate - di cui abbiamo già parlato - che quasi ogni
fiocco veniva necessariamente raccolto e custodito con la massima
cura.
E per concludere queste pagine di
storia e di vita vissuta, meritano il ricordo anche due Turesi di
professione ‘sorbettieri’, che con il loro antico mestiere,
esercitato nelle calde giornate d’estate - e grazie alla neve e
alle neviere - hanno deliziato i palati dei nostri avi, vendendo
deliziosi sorbetti, al prezzo di ‘mezzo soldo’.
Nel 1809, il sorbettiere Antonio
Sardella di anni 42, con la sua ‘bottega da caffè’ nella Porta
di San Giovanni n.3; nel 1880 Piero Sabatelli di anni 30, anch’egli
sorbettiere di casa nostra.
Il ‘sorbetto’, conquistatore di
molti palati, era già conosciuto nell’antica Roma. L'etimologia è
incerta, in quanto potrebbe avere origine latina e provenire dal
verbo ‘sorbeo’ (sorbire o succhiare) o provenire dal termine
arabo ‘sherbet’ (bevanda fresca).
I nostri avi scoprirono che aggiungendo
al ghiaccio alcuni sali, come il nitrato di potassio, o salnitro,
questi disciolti ne provocavano l’ulteriore abbassamento della
temperatura.
Il sorbetto, progenitore del gelato,
veniva prodotto inserendo nella ‘sorbettiera di zinco’ un
composto di purea di frutta o semplice succo limone, con l’aggiunta
di acqua e zucchero. Successivamente la sorbettiera, veniva inserita
in una piccola tinozza di legno ricolma di ghiaccio tritato e sale.
Poi facendo roteare la sorbettiera molto velocemente, grazie anche
all’azione del sale che faceva abbassare ulteriormente la
temperatura, il composto si solidificava. E una volta solidificato,
tramite delle apposite palette di legno, il sorbettiere con maestria
lo staccava dalle pareti del contenitore di zinco.
I gusti del sorbetto potevano essere:
fiori d’anice, fiori di cannella, frutta di stagione, succo di
limone o altri agrumi, caffè. Il sorbettiere, ambulante o da
bottega, serviva queste delizie all’interno di piccoli bicchieri di
vetro, con la punta del sorbetto all’insù.
A tal proposito, mia nonna Laura,
classe 1902, mi raccontava che quando era bambina, assaporava la neve
appena caduta con il vincotto di fichi. Altri tempi!
Dai primi anni del Novecento la
fornitura della neve è stata soppiantata dalla produzione
industriale del ghiaccio, venduto fino a tempi recenti. Poi con
l’avvento del frigorifero, delle antiche neviere è rimasto solo un
lontanissimo ricordo.
A mio modesto parere, sarebbe opportuno
tutelare e salvaguardare queste straordinarie testimonianze
architettoniche arrivate a noi, a volte intatte, a volte modificate.
Pensando, nel contempo, alla creazione di percorsi
turistico-enogastronomici e culturali che, con le peculiarità del
nostro territorio (strutture ricettive, antiche masserie, muretti a
secco, borghi antichi, contornati dai vari beni culturali)
permetterebbero di comprendere ed apprezzare quei valori autentici,
legati soprattutto alla vita contadina, ricca di tanta storia e di
tante tradizioni.
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