Un grande narratore del Novecento ed un geniale pittore contemporaneo con penna e pennello ricordano i "ragazzi di Calabria"
di Domenico Logozzo
Conoscere il passato, per vivere un
presente migliore e guardare con fiducia al futuro. E il futuro in
una regione dove troppo si dice e poco si fa, deve essere
effettivamente nelle mani dei giovani. Ragazzi di oggi, classe
dirigente del futuro. Si dice. Ma cosa si fa? Si sta costruendo
veramente? I dubbi sono tanti. La sfiducia pure. Purtroppo. Ma non
c’è rassegnazione. Non può esserci rassegnazione. Servono buoni
maestri. Ci sono e vanno aiutati a far crescere i buoni semi.
Estirpare la malapianta. Si può. Si deve. La cultura del fare contro
l’incultura del non-fare e peggio ancora del malaffare!
Come era un tempo la vita dei ragazzi
di Calabria? Vogliamo dare uno sguardo al passato con gli occhi degli
uomini di cultura di generazioni molto lontane, ma con un forte
radicamento sul territorio. Riscopriamo un acquerello del
geniale pittore contemporaneo di Siderno, Damocle Argirò, e uno
scritto d’uno dei più illustri letterati del Novecento
italiano, Corrado Alvaro, di San Luca. Il pennello che fotografa. La
penna che descrive. Un acquerello realizzato nei primi anni Settanta.
Uno scritto di poco meno di un secolo fa. Fissano epoche e raccontano
storie. Quando il poco era tutto. E la felicità aveva il volto
dell’umiltà, della capacità di sapersi accontentare. E
divertirsi. E sognare. I giocattoli “dipendevano dalla natura”.
Ora dalla tecnologia. Ieri il calore dell’emozione manuale
del “fai-da-te”. Oggi il freddo rapporto delle dita con
l’elettronica che “fa-da-sé”.
Corrado Alvaro così descriveva la
vita dei giovani nei nostri paesi negli anni Trenta:
“Se dappertutto l'infanzia e l'adolescenza sono la primavera del
mondo, in paesi come questi formano la stagione incantata. Qui i
ragazzi percorrono gloriosamente le feste e le stagioni, hanno la
natura per trastullo; i loro giocattoli sono dipendenti dalla natura,
dai frutti, dai fiori: le castagne, le noci, le nocciole, e poi le
ciambelle e i dolci delle feste, e poi la canna quando è verde,
l'oleandro quando della corteccia si fanno i rozzi flauti; e
d'autunno la creta dei colli cretosi”.
La stagione incantata che più di un
secolo dopo viene testimoniata dai dipinti di Damocle Argirò.
Ho avuto il privilegio di conoscerlo e di apprezzarlo nei lontani
anni Settanta. L’inizio di una bella amicizia. Io giornalista,
lui pittore. L’attenzione comune per le specificità del
territorio, guardando in faccia la realtà, raccontando e
descrivendo la gente, com’era. Damocle mi fece generosamente
dono di un acquerello: uno spaccato di vita paesana. Due bambini, un
cane, l’antica porta. La speranza, la fedeltà, la storia. Questo
si legge, questo ho letto nella sincera rappresentazione di
quella che Alvaro definiva “la stagione incantata”.
A quaranta anni di distanza, scrivo a
Damocle Argirò e gli invio una foto del quadro che mi ha regalato.
Mi risponde: “Il paese è Mammola, del resto lo si intravede dalla
porta, ricordo un po’ anche la via stretta e lunga: i miei vicoli
popolari...”. Mi dice come è nata la passione per la pittura: “Da
giovane trentenne, andavo spesso in giro nei paesi con un
gruppo di compagni fotografi, scattavo delle foto che a volte non
incontravano consenso. Ed allora ho imparato a dipingere sul posto in
modo estemporaneo, dal vero”. E poi sottolinea: “Io non
trovo l'arte nella modernità, ma nei luoghi poveri, dove sono
cresciuto, sotto le mura della Reggia di Caserta, S. Leucio ed il
paesaggio calabrese mi ha sempre attirato per diversità ma anche per
diversa realtà”.
La diversità del paesaggio. La
diversità della realtà. Riflettere. E agire. Con l’ottimismo
della volontà. Invito a una diversa e migliore comprensione della
realtà giovanile. Ci sono tanti segnali positivi. Da incoraggiare.
La Chiesa nella Locride ha dato e continua a dare concreto sostegno
alle istanze di cambiamento. Diciamolo con molta franchezza: ha
supplito e supplisce alle colpevoli distrazioni di uno Stato poco
attento a questo territorio. Invita i politici e gli amministratori
locali a cambiare modo di affrontare i problemi. E lo fa con molta
pacatezza. Nei giusti limiti. Senza ambiguità. Essere protagonisti,
non spettatori. Lo dice spesso il vescovo mons. Francesco Oliva. E
noi condividiamo pienamente il suo pensiero e le sue parole. L’umiltà
del buon esempio. E’ ciò che serve per rendere
migliori i giovani della Locride.
Commenti