«Un filosofo e un pittore per la ‘Bottega dell’Orefice’» per i cento anni dalla nascita di Rosario Assunto
Sabato 28 marzo
2015, ricorre l’anniversario della nascita di Rosario Assunto,
infatti, cento anni fa nasceva il 28 marzo 1915 a Caltanissetta. Per
sottolineare l’importanza del filosofo che impersona una delle voci
singolari e rilevanti del dibattito filosofico estetico del ’900,
incontriamo il pittore Francesco Guadagnuolo, anche lui di
Caltanissetta che condivise l’amicizia frequentandolo nella
capitale e che bene l’ha conosciuto, perché Assunto ne ha seguito
il suo lavoro artistico.
Guadagnuolo lo ricorda così: «Il mio
lungo sodalizio culturale con lui è iniziato nel 1978, un anno dopo,
il suo primo saggio critico di presentazione a corredo delle
acqueforti da me realizzate su “La Bottega dell’Orefice” di
Andrzei Jawien (Karol Wojtyla), ed è proseguito fino alla morte del
filosofo, nel 1994. Rosario Assunto aveva accolto questo mio lavoro
con molto interesse perché, per lui, significava ritornare a
meditare su un tema trattato dal punto di vista teorico del rapporto
tra testo e illustrazione. Quello che ha sempre cercato del problema
testo-illustrazione è stato di porre come visualizzare il tempo come
appunto lo teorizzò Rosario Assunto, cioè la ricerca grafica o
pittorica di una sola e unica immagine emblematica, che contrae un
intero racconto come è ben visibile nelle tavole de “La Bottega
dell’Orefice”: egli intravide questa vocazione specifica e
originale nel mio operato individuando anche certe mie predilezioni
letterarie come Proust, Kafka, Musil, Heidegger, Hölderlin e
Gadamer. L’amicizia con Assunto è stato molto favorevole per il
mio lavoro di artista perché alla base di tutto c’è sempre un
interesse filosofico che ci porta a far pensare e riflettere sui
rapporti dell’esistere, su una ricerca dell’assoluto e sui
comportamenti umani. Di arte e storia, arte e natura, arte e vita,
parlavamo, Assunto ed io, ragionando ad ogni nostro incontro; su
questi confronti ho cercato di costruire tutto il mio lavoro di
artista e di ripercorrere la sua filosofia».
Vi proponiamo nel centenario della
nascita di Rosario Assunto, nella ricorrenza della Santa Pasqua
2015, l’interessante saggio del filosofo “Per un’ipotesi
di lettura al quadrato” scritto per la cartella di acqueforti “La
Bottega dell’Orefice”, legata al dramma in tre tempi di Andrzej
Jawień (Karol Wojtyła), piéce scritta da Papa Giovanni Paolo II
sul matrimonio cristiano, commentate da Rosario Assunto. Nella
circostanza queste opere di Guadagnuolo si possono visitare presso
Palazzo Moncada di Caltanissetta: “Colori e anima di Sicilia”-
mostra per il Museo di Arte Contemporanea, dal 27 marzo al 7 aprile,
curata dal Rotary Club di Caltanissetta, per poi essere esposte
permanentemente nel costituente Museo.
PER UN’IPOTESI DI LETTURA AL QUADRATO
«Debbo ringraziare l’amico Francesco
Guadagnuolo per l’occasione che mi offre, col suo invito a
commentar come posso, dal solo punto di vista che mi competa, quello
dell’estetica filosofica, le illustrazioni da lui approntate per La
Bottega dell’Orefice. Si tratta, per me, di tornare a meditare su
un tema dal quale altra volta fui tentato, dal punto di vista
teorico. Un tema, aggiungerò, che mi riguarda direttamente, autore,
quale sono di libri filosofici, proprio in quanto tali abbisognevoli,
sicuro, di illustrazioni: una volta, perché lo richiede il soggetto
della trattazione, in cui la teoria resterebbe incompleta se non
avesse un corredo di documenti esemplificativi (come quando ho dovuto
affrontare, in un tempo nel quale il paesaggio rischia
di essere, come l’arte per Hegel,
“ein Vergangenes”, una cosa passata, proprio la teoresi e la
critica del paesaggio naturale); e altre volte perché il soggetto
della ricerca storico-estetica (si trattasse della critica d’arte o
della teoria del bello nel Medioevo; oppure degli ideali estetici
dell’Europa barocca; o dell’immagine di Roma a noi tramandata
dagli artisti stranieri tra Seicento e Ottocento) esigeva una più o
meno copiosa documentazione esemplificativa. E fu proprio quando mi
occupavo del rapporto tra testo e illustrazione nella cultura
dell’Europa barocca, che Giambattista Vico in persona mi venne in
soccorso, con le parole, definitive riguardo al problema delle
illustrazioni in un libro di filosofia, che tutti possiamo leggere
nella Spiegazione della Dipintura proposta al Frontespizio (era stata
disegnata da Domenico Antonio Vaccaro) da lui scritta per la Scienza
Nuova nelle edizioni del 1730 e del 1744; la quale dipintura, egli
scrive, «serve al Leggitore per concepir l’Idea di quest’opera
avanti, di leggerla, e per ridurla più facilmente a memoria con tal
aiuto della fantasia dopo di averla letta».
Concepir l’idea dell’opera avanti
di leggerla; e con l’aiuto della fantasia più facilmente ridur
l’opera a memoria, dopo di averla letta… Sono frasi lapidarie,
che sull’anteriorità e ulteriorità dell’immagine rispetto al
pensiero discorsivo e analitico, dicono tutto quello che c’era da
dire. E non valgono solo per i testi filosofici, qual era la Scienza
Nuova – benché, ad onta delle apparenze in contrario, assai più
facile sia ridurre in figurazione metaforica i concetti fondamentali
di una filosofia, che, non, poniamo, visualmente mostrare gli episodi
salienti, o quelli ritenuti tali, di un’opera narrativa: nel quale
caso sarà difficile per l’illustratore resistere a due tentazioni
opposte e complementari: quella di minutamente insistere sul
particolare dei personaggi, dei luoghi, delle situazioni
rappresentate, facendo dimenticare la storia che è oggetto di
racconto, a favore di una serie di episodi isolati ed in sé
autosufficienti; ovvero, abbandonarsi alla fantasia, e così dar vita
ad immagini che poco o nulla hanno a che fare con l’argomento della
narrazione, e con la cultura figurativa nella quale esso va
storicamente inserito affinché con le tavole che lo illustrano abbia
comune il gusto, nella sua storicità. E può far testo, in
proposito, la storia delle edizioni illustrate di opere letterarie
come l’Orlando Furioso, il Don Chisciotte, i Promessi Sposi – ma
vuole essere ricordato il caso di opere narrative come la Julie di
Rousseau (comunemente nota sotto il titolo di Nouvelle Héloïse),
per la quale l’autore stesso (non diversamente il Manzoni) suggerì
all’illustratore gli episodi da figurare ed il modo della
rappresentazione visiva.
Il primo quesito con il quale deve
cimentarsi l’artista che per propria scelta, ovvero per commissione
d’autore (o anche in seguito ad impegni contratti con un editore)
abbia deciso di illustrare un’opera narrativa (o drammatica: dal
nostro punto di vista è lo stesso), consiste nella scelta di
un’immagine, per cosi dire, emblematica: figurando la quale si
mostra ai lettori il senso di tutta l’opera, l’idea prima di
leggere di cui parlava il Vico: destinata a rimanere in mente a
lettura finita. E tra le acqueforti di Guadagnuolo, mi pare sia
davvero emblematica quella in cui null’altro vediamo se non tre
mani annodantisi nel rito nuziale – la mano dell’officiante che
sorregge la mano della sposa; la mano dello sposo che all’anulare
della sposa si accinge a infilare l’anello, questo simbolo di due
destini destinati a fare uno.
La dote che a me sembra peculiare nel
Guadagnuolo acquafortista (e, ovviamente, disegnatore), cioè
un’eleganza della linea che si accompagna a morbidità sapiente del
chiaroscuro, ha trovato qui il modo di spiegarsi appieno. Basti
guardare come egli fa sì che i contorni delle tre mani si continuino
l’uno nell’altro; ed il cerchietto d’oro, di cui la sua perizia
nel dar luce e nell’ombreggiare mette in risalto la luminosità
aggettante contro il morbido delle carni: unità, oserei dire, del
molteplice, che è anche identità del diverso; e fa sì che
l’annodarsi delle tre mani, il loro convergere nella centralità
dell’anello che in sé tutte le annoda, visivamente esprima il
simbolo del tre-uno. O meglio: il mistero dell’uno più uno eguale
tre, che è il mistero dell’amplesso – quando la fusione di due
uni fa uno per il vicendevole identificarsi dei due che nell’amoroso
amplesso si unificano; e fa anche tre: perché quella momentanea
unità di due è identificazione del diverso dei sessi si prolunga e
continua, idealmente infinitizzandosi sopra il tempo e lo spazio, in
una terza unità. Uno più uno eguale due; uno più uno eguale uno;
uno più uno eguale tre. Il senso dell’unità raffigurata nelle tre
mani che hanno al centro l’anello, possiamo vederlo sviluppato,
rispetto a quel momento narrativamente, drammaticamente e visualmente
supremo, in altre due tavole. Evidente, in una di esse, è
l’unificazione carnale e spirituale insieme della coppia, contro lo
sfondo di architetture, dalla toscana rimembranza, alle quali il
Guadagnuolo ha voluto affidare il compito di consacrare l’amplesso,
chiarissimamente e pur castamente figurato con elegante allusione nel
modo in cui i due corpi abbracciati confondono le loro linee, e gli
sguardi si compenetrano – e per come è tracciato il profilo della
donna, sotto l’intreccio dei capelli, ci accorgiamo subito che
Guadagnuolo deve averlo studiato, il suo Botticelli; e studiato come
si dice, matita alla mano, assorto dinnanzi alla Allegoria della
Primavera, alla Nascita di Venere… V’è, poi l’altra tavola,
blasonabile anch’essa di quattrocentesche fiorentine ascendenze,
anche se i lineamenti marcati della donna fanno pensare ad immagini
amate di conterranea, presente alla fantasia ed al cuore
dell’artista, e in essa associandosi a inevitabili richiami della
sua cultura pittorica. L’infinità dell’amplesso, attestata nella
figurazione della madre e del figlio, con inevitabile allusione al
tema iconografico, Madonna col Bambino.
Ma chi sono i due? Tre tempi, tre
coppie scandiscono l’unità di senso del poema drammatico dal quale
il Guadagnuolo ha, per cosi dire, spremuta l’essenza, nelle sue
tavole: Teresa e Andrea; Anna e Stefano; Monica e Cristoforo. E la
terza mano, che unisce le due degli sposi, si congiunge alla voce
soliloquiante dell’eterno Adamo; e del coro: che di tutti
accompagna la vicenda, interrogandosi sul loro essere, sulla
misteriosità del loro destino: le facce dei passanti si nascondono
nel buio della sera... Identico il rito, per Teresa e Andrea, per
Anna e per Stefano – e identico sarà per Cristoforo e Monica. Ma
come diverso, il futuro, dopo l’identità del rito: le immagini
degli sposi emergono dall’ombra, in altre tavole di Guadagnuolo, e
sembrano circondate dall’ombra. In una, poi, sei volti,
s’intravedono appena, contro un drappo sventolante, fra le nubi:
qui, l’immagine si presta a polisemie numerose, e i tratti, sempre
eleganti, raffinatissimi con cui la figurazione è condotta
propongono domande enigmatiche, persino nella simmetria, giù in
basso, di un volto maschile dall’estrema sgradevolezza, sulla
sinistra; e dell’uccello da preda che guata, grifagno, alla nostra
destra. Ma chi è la bionda, elegante signora che ci viene incontro,
non curando, alle sue spalle, certe movenze di giovani nei quali
possiamo supporre un ricordo di disegni che l’artista lungamente
può avere studiati, agli Uffizi o in altra raccolta di fogli e
taccuini del secolo decimosesto? Non ci abbandoneremo a congetture
interpretative, l’indeterminato accresce il godimento della visione
come accresce quello della lettura. E di quella unità di visione e
lettura, lettura al quadrato, potremmo dire, con metafora presa alle
matematiche, nella quale consiste il pregio maggiore, voglio dirlo
con le parole del più insigne nostro studioso del libro illustrato,
Sergio Samek Ludovici, del “libro che parla al di fuori ed oltre ai
caratteri”. Né credo si potrebbe dare definizione più
rispondente, per “La Bottega dell’Orefice” illustrata con le
acqueforti di Francesco Guadagnuolo. Rosario Assunto».
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