di Lino Manocchia
 Il Museo Enzo Ferrari, è un fatto compiuto. Dedicato alla vita del grande Drake, il magnifico moderno complesso, nelle adia-cenze di Maranello, sarà concentrato più sull’Uomo-Creatore del magico marchio sportivo che alle sue vetture, la cui “Azienda” continuerà con immutato entusiasmo.


Non si confonda il fatto che nell’ampio spazio, ricoperto dal cofano di una enorme macchina, color giallo, preferito dall’ingegnere, troveranno spazio tutte le storiche creazioni ed il loro ampio significato i cimeli corsaioli, e, quando possibile, anche spezzoni video delle macchine in azione. Il nuovo Museo è un interessante miscela di anziano e di nuovo.
All’ombra della fabbrica Maserati, nel Museo Ferrari disegnato dalla Future System of London, non sono stati dimenticati: un archivio digital, una sala delle conferenze, e l’immancabile caffè …all’italiana.
«Il Museo Casa Enzo Ferrari (foto) diverrà un posto ideale per gli entusiasti, un centro culturale e industriale turistico,» ha commentato Adriana Zini, segretaria generale della fondazione, «mentre per la città di Modena il Museo diverrà una icona, una magica attrazione da seguire.»
L’automobilismo – scrivemmo nel ferragosto 1988 – ha perduto il suo mito più grande, una stella di incomparabile grandezza accesasi nell’ottocento ma che illuminerà anche il futuro più lontano della storia delle corse.”
Era Enzo Anselmo Ferrari, il “Commendatore” il cui padre lo voleva ingegnere, ma lui aveva il sogno di diventare tenore di operetta, giornalista sportivo e pilota di automobile.
Con quelle sue ampie braccia rompeva l’aria, larghi gesti da patriarca si, ma in pace con la
vita, sembrava un arco teso e una delle corde piu’ importanti era la forza che emanava.Dopo mezzo secolo di giovinezza ed irreversibile vecchiaia, aveva cominciato a cementare le prime pietre della fabbrica. .Furono tanti gli illustri conoscitori della vita,della politica, dello sport a cimentarsi sul come coniare un nomignolo atto alla sua personalità. Era troppo difficile paragonarlo a qualcuno, impossibile definirlo.
Ferrari è mito, leggenda, tradizione, fede, l’Uomo nato per vincere. Ma Ferrari è diventato, sopratutto in questi ultimi dolenti anni del nostro Paese, amore d’Italia, simbolo d’Italia, rispetto dell’Italia. Ferrari è diventato anche speranza in momenti di serenità.
Il Drake è immagine tecnica e ambizione pubblicitaria. Ferrari è entusiasmo, un pezzo glorioso dei 150 anni della storia d’Italia, quello che fa di 500 cavallini, un concerto inimitabile, ogni volta una “prima”, Parole, parole, parole. Quante ne sono state scritte su questo mito, su questo fenomeno, su questa realtà continua?
«Questa è stata la mia vita che non esito a definire un ansimante cammino. Infinite volte, dall’età dell’adolescenza, mi sono guardato allo specchio chiedendomi chi fossi, che cosa fossi venuto a fare al mondo, con un acuto tormento. Qualcuno mi ha definito “un uomo che conosce l’umanità del peccato e la crudeltà del vivere.” Aggiungerei che so misurarmi nella dimensione di questo mondo in cui siamo costretti a vivere, prigionieri della illusione del successo.» scriveva il Drake nel suo libro “Ferrari ‘80”.
Il “Commendatore” iniziò a correre nel 1920 con l’Alfa Romeo, che a quei tempi era il club per gentleman driver. Nel 1923, in occasione di una gara a Ravenna, la contessa Paolina Biancali, madre del grande asso dell’aviazione Italiana Francesco Baracca consegnò ad Enzo il simbolo che il leggendario aviatore portava sulla carlinga, un cavallino rampante, gli disse: «Ferrari metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà
fortuna.» A partire dal 1932 questo simbolo apparve sulla carrozzeria delle macchine prodotte dalla Scuderia Ferrari.
Mentre sviluppava le vetture Alfa il modenese costruiva un team di 40 piloti, fra cui Alberto Ascari, Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari. Ferrari stesso continuò a correre sino alla nascita, nel 1932, del figlio Alfredo, detto Nino, che morì di distrofia muscolare.
«Ho superato ormai,» prosegue Ferrari nel suo libro, «la cima del monte, con animo disteso e spero di poter continuare il mio lavoro, fino all’ultimo giorno. Nel mio lavoro ascoltando la voce armoniosa della materia plasmata quasi un germoglio di vita, mi sono avvicinato al mistero dell’anima, ma non sono riuscito a scoprire la mia.»
Apparentemente brusco, spesso umorista, lenti nere, con la penna ad inchiostro viola in mano, non si può giurare che egli abbia mai coscientemente compiuto una cattiva azione. Ed egli conferma:
«Sono tranquillo. anche se non sereno, anche se così terribilmente imperfetto. Non mi sono mai pentito. Rammaricato, spesso, pentito mai, perché ripeterei le stesse azioni, comportandomi però in modo completamente diverso. Nella mia vita ho fatto quello che mi faceva piacere, non ho credito con nessuno. Mi sono limitato a fare quello che ho fatto, ma forse nell’altro Pianeta avrò più successo.»
Ferrari era certo che se gli fosse stato offerto di ricominciare il cammino percorso non avrebbe accettato, perché gli dispiaceva di «ricominciare il cammino percorso in un mondo nel quale la forza si sostituiva alla ragione. La sua carriera si concluse alla nascita del figlio Dino di cui ebbe a dire: «Quando la vita mi mise di fronte al fatto compiuto, mio figlio, fui indotto alla meditazione. A volte penso che il dolore non sia altro che un esasperato attaccamento alla vita, di fronte alla allucinante fragilità dell’esistenza.»
Dopo aver fatto di tutto perché non lo dimenticassero, in un momento di rabbia disse: «Se potessi vorrei dire: Dimenticatemi.» Ma nessuno gli diede ascolto.

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