In Metamorfosi Ovidio narra una storia d'amore dalla quale Shakespeare ha preso inspirazione (o scopiazzata) per il famoso dramma Giulietta e Romeo.
La coppia si amava alla follia e desiderava suggellare il proprio amore con il matrimonio ma le famiglie, che abitavano l'uno accanto all'altra, si detestavano e, così, impedirono ai due amanti di continuare a vedersi.
Questo punto della storia è molto imteressante e richiama un archetipo d'amore molto forte.
Le stanze dei due giovani erano divise da un muro che aveva un difetto di costruzione, una fiebile fessura. Ovidio commenta che l'amore fa vedere e percepire cose che normalmente non si notano. In effetti gli amanti scorgendo la fessura passavano il tempo l'uno accanto all'altro. C'è un'immagine che riscalda il cuore descritta dall'autore: "...quando si ponevano Tisbe da una parte e Piramo dall'altra, e a vicenda afferravano il respiro delle loro bocche..." il desiderio che quella fessura fosse più grande da permettere loro di baciarsi cresceva, ma, allo stesso tempo, i ragazzi si sentivano grati del fatto che quella fessura esisteva.
Una notte decisero di scappare di casa e abbandonare il villaggio; il desiderio di congiungersi carnalmente era troppo forte, la passione chiamava e loro decisero di seguirla. L'idea fu più di Piramo che Tisbe. Si sa che a noi donne basta l'amore platonico mentre gli uomini alla fine premono sempre per una congiunzione finale.
Prima di uscire di casa baciarono la fessura, grati per il fatto di essere stata lì (ci sono vaghi richiami sessuali che sapendoli leggere, usando la fantasia sono una mina vagante nell'inconscio).
I due girarono per le campagne fino a quando non trovarono un rifugio sotto un antico albero di gelso ( simbolo della prudenza, perchè cresce tardi) con una fonte d'acqua (simbolo di rigenerazione e nuova vita), vicino ad un sepolcro (simbolo di sacralità della fine e della rinascita) di un certo Nino (che in ebraico significa bello). E lì, complice il tramonto, si accordarono (fanno l'amore).
Tisbe uscì dal rifugio nell'oscurità, "l'amore le rendeva forte" dice Ovidio, e andò verso la fonte vicina ma si accorse che una leonessa stava bevendo. La ragazza si nascose in un antro buio e nella fretta le cadde il velo. La leonessa andò nella selva a risolvere il pasto, poi tornò alla fonte, prese il velo e lo lacerò sporcandolo con la bocca insanguinata (forse residuo di cacciagione).
Piramo uscendo subito dopo, vide il velo sporco di sangue e lacerato, non trovando la sua amata venne colto da disperazione, pensando all'ingiustizia della vita. Solo dopo aver giaciuto insieme una volta accadde tutto ciò. Che cavolo!
In questa faccenda giocarono molto i sensi di colpa di lui per aver proposto di fuggire senza una meta o un piano, inoltre già erano presenti accumuli di nevrosi dovuti al rapporto con i genitori e tutto questo lo spinse a darsi un colpo mortale con la spada.
Tisbe uscì dall'antro oscuro e vide questo spettacolo atroce. Per l'ultima volta incontrò lo sguardo del suo amore e Piramo chiuse gli occhi e morì. La storia è triste ma immaginare l'ultimo pensiero di Piramo prima di trapassare mi suggerisce frasi come: "''zzo eri viva!".
Così Tisbe colta da panico e disperazione prese la spada del suo amato per compiere l'estremo gesto.
Le famiglie, capito l'errore decisero, in fine, di mettere le ceneri dei due ragazzi vicine, dopo il rogo furono messe insieme in un'unica urna.
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