“Io che porto la giubba....” un libro sulla femminilità mortificata

Scoperta nel 1690 in Germania, l'endometriosi è una patologia che ha attirato l'attenzione negli ultimi anni dei ricercatori medici. I casi sono molti più di quelli che si possano immaginare, 3 milioni in Italia, 14 in Europa e 150 nel mondo. Una patologia da studiare non solo dal punto di vista fisico ma anche psicoanalitico, cercandone il simbolismo inconscio. In passato le donne affette da endometriosi venivano chiamate con nomi popolari come Silente, Allontana mariti, i quali mortificavano la femminilità e la persona.
Ma che cosa è l'endometriosi?
L'endometrio è quel tessuto che riveste internamente l'utero. Nel caso dell'endometriosi accade che lo stesso tessuto si trovi in altri organi come l’ovaio, la vagina, l’intestino, le tube, il peritoneo. Le conseguenze possono essere: infiammazioni, irritazioni, dolori invalidanti e, nel 30-40% dei casi, infertilità.
“Io che porto la giubba…” è un libro a cura della dr.ssa Eva Gerace e del dr. Rosario Idotta, il quale illustra, anche, la particolare ricerca del simbolismo inconscio legato all'endometriosi.
Il saggio è arricchito dai contributi di alcuni medici specialisti, i quali riportano gli esiti delle loro ricerche e i risultati delle loro esperienze quotidiane con le pazienti. Questo studio informativo completo è stato stilato in collaborazione con l'Associazione Italiana Endometriosi ONLUS, e fornisce una risposta scientifica per questa malattia. Nel libro sono indicati gli strumenti appropriati per la diagnosi, le cure, le terapie e un identikit delle donne a rischio.
Oltre ad essere un'utile guida informativa sulla patologia, il libro analizza le cause che spingono la donna a percepire la femminilità come dolorosa, alla luce, non solo della figura materna, ma anche della cultura odierna. La dedica del libro è molto esplicita: “A ogni donna che soffre”.

Perché il titolo “Io che porto la giubba...”?
E' la definizione che diede una giovane sofferente di endometriosi parlando di sé. Subito mi tornò in mente l'aria dei “Pagliacci” di Leoncavallo: il protagonista Canio, nonostante il turbamento della scoperta del tradimento dell'amata, si trucca e si appresta ad andare in scena.
Qual è il riferimento simbolico?
La giubba è un abito maschile, militare, la donna che soffre si arma e si protegge e, proprio come Canio, la “faccia s'infarina”: compie un doppio movimento: uno per andare verso il mondo ed uno per darsi una facciata di femminilità.
Perchè la femminilità è ancora percepita come dolorosa?
In alcuni casi esaminati ho riscontrato che molte donne hanno vissuto come un trauma le prime mestruazioni. Una giovane mi ha riferito che la madre le ha detto: “Adesso piangerai sangue! Sopporta i dolori come le altre donne”. C’è una posizione sacrificale, che mortifica la femminilità. In genere queste donne hanno avuto un rapporto “difficile”, “conflittuale” con la madre. È doloroso non sapere come costruire la propria femminilità. Ogni donna deve riflettere che il cammino verso la femminilità non è solo disseminato di dolore, guai, sofferenze, tribolazioni, vicissitudini, ma è anche fatto di: storie, avventure, misteri, creatività.
Che cosa rappresenta la madre nella sfera della femminilità?
Alla madre tocca riconoscere e dare delle sicurezze alla figlia, anche il padre ha una funzione fondamentale nella crescita di questa, come spiego nel libro. La madre ha l'obbligo di propiziare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Non c’è una ricetta che la madre deve trasmettere, bensì rendere evidente la possibilità di essere soddisfatta come donna.
Qual è il giusto atteggiamento?
La madre è tenuta a far intendere alla figlia che può scegliere, che ognuno ha le proprie idee e che c’è un percorso dove lei non la può accompagnare più.
Riguardo all’evento mestruale, la madre deve contribuire a farlo percepire come un momento gioioso, che apre una nuova fase di crescita e di cambiamento, senza nascondere, tuttavia, le difficoltà che si possono incontrare.
Che cosa cela l'anima di una donna?
Il desiderio! Dobbiamo riflettere a lungo sul fatto che la repressione dei nostri desideri, in genere, porta alla sofferenza.
Perché oggi la donna soffre nonostante abbia conquistato una posizione di indipendenza?
La sua posizione è apparentemente migliorata, in realtà esistono ancora tante conquiste da fare.
La donna soffre per non poter conoscere il suo vero posto nel mondo. Oggi è tutto centrato sull'immagine e l'avere: sembra non esserci tempo per riflettere. Il soggetto addormentato, senza identità, è impossibilitato a costruire la sua soggettività. La malattia, il dolore fisico o psichico mostrano ciò che la donna non è capace di capire, quello che ancora non può spiegare con le parole.
Nel suo libro scrive: “Non ci sono né garanzie né ricette per far crescere una figlia - e aggiunge - ciò che aiuta la guarigione è l'attuazione di “uno scavo archeologico del desiderio”. Come?
E' necessario motivare le ragazze a scoprire ciò che vogliono; ognuna deve costruire il suo posto nella vita mediante la riflessione e l'accettazione dei propri sentimenti, evitando di pensare che ci sia qualcuno che sa tutto e senza affidare completamente al medico il compito salvifico, liberandosi così dal vortice pericoloso della passività e della dipendenza paralizzante.
Ma soprattutto bisogna costruire la propria soggettività perché solo così si può sostenere il proprio desiderio.
Esprimere la creatività, ad esempio nell'arte, può aiutare la donna a spogliarsi della “giubba”?
La sublimazione in psicoanalisi è un concetto molto complesso, di cui non si può parlare con poche parole, tuttavia si può dire brevemente che la creazione artistica può aiutare: ha anche la capacità di prevenire.
Ricordo una frase di Picasso:“La pittura non è fatta per adornare i muri: è un’arma di guerra”. Nel momento in cui l’artista “mostra” la sua opera mette in atto un’ardente donazione: incide il muro con il quadro. Producendo un oggetto nuovo crea anche il godimento estetico, il quale è capace di generare, rimandando lo spettatore in quell’esilio in cui si è costruito il suo essere, quella ferita sempre aperta a causa delle parole che attraversano ogni vita. Esse sono i significanti accesi che hanno segnato la nostra vita, forme che scrivono strappi, lacerazioni, soglie dell’immensità, vacuità capace tanto di sostenere, quanto di spezzare il mondo immaginario nel quale a volte viviamo. L'arte è un atto d'amore…

Eva Gerace e Rosario Idotta: "io che porto la giubba…" dall’endometriosi verso uno spazio differente. Città del Sole Edizioni, 2008.
Della stessa scrittrice: Marlon Brando. Quando il desiderio si fa uomo. Città del Sole Edizioni 2006.

Commenti

Anonimo ha detto…
Andrea Pinketts è la prova vivente che in Italia ormai tutti,ma proprio tutti possono fare strada.Genio...!Che miseria...l individuo più brutto e più insignificante del mondo.
Alessia Birri
Anonimo ha detto…
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