Nel segno di Venere (1955) - regia Dino Risi

In un solo film si possono gustare alcuni dei migliori attori, sceneggiatori, scrittori dell'epoca.
Basti pensare alla sceneggiatura di Ennio Flaiano e Cesare Zavattini.
Gli attori sono Franca Valeri, una acerba Sophia Loren, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Virgilio Riento, Tina Pica, Raf Vallone, Leopoldo Trieste (in una eccezionale veste Dada) e una piccola comparsata del “povero ma bello” Maurizio Arena.

La trama è molto attuale, lo scenario esteriore è quello dell'epoca ma, per alcuni aspetti, nella sostanza è poco cambiato. I dialoghi sono densi, ironici, autentici e di grosso spessore.
Rivediamo le nostre radici in pochi minuti di pellicola.
Franca Veleri interpreta Cesira, dattilografa presso “La casa del passeggero”, quello che oggi chiameremmo un multiservizi; è una ragazza milanese che risiede a Roma nella casa degli zii, dove divide la camera con una giovane Sophia Loren: una ingenua cugina con la quale ella stessa avverte un recondito senso di competitività.
Tutto comincia quando una vicina di casa le legge le carte e le dice che nel mese corrente lei sta vivendo il periodo di Venere. Un periodo che dura si e no alcune settimane entro le quali non deve farsi scappare l'occasione di trovare l'anima gemella.
Cesira è una ragazza troppo forte, indipendente, intelligente, per quei tempi, persino oggi lo sarebbe. Ha un solo punto debole: si sente sola e desidera incontrare l'amore, più che legittimo a quella età.
Ed ecco la maestria del soggettista e degli sceneggiatori che mettono a nudo un preciso comportamento umano: quando si percepisce il punto debole altrui lo si usa, non curanti dei sentimenti di chi si rischia di ferire.
E così Cesira, granitica e taciturna, nel mese di Venere viene spudoratamente usata dagli uomini che incontra. Chi si approfitta della sua gentilezza per mangiare (negli anni '50 si rischiava di digiunare forzatamente), chi per conoscere e uscire con la cugina, chi per i suoi illeciti e loschi affari.
Tutti usano Cesira senza tener presente i suoi sentimenti; perchè Cesira non esprime la sua rabbia, la sua passionalità.

Un De Sica d'annata, impeccabile nel suo ruolo: interpreta uno scrittore povero in canna, dall'aspetto trasandato ma dignitoso e signorile, ricco di una dialettica molto rara per quei tempi, forse anche per oggi. Si avvicina a Cesira per dettare una lettera di suicidio; forse non si aspetta, nell'indifferenza di quegli anni, di trovare una persona come Cesira, o forse come si suol dire ”c'ha marciato”, questo rimane a libera interpretazione dell'osservatore ma ciò che colpiscono sono le parole di sfogo di quest'uomo: “stiamo vivendo tempi duri, difficili; e i giornali...le pagine dei giornali ogni giorno sono piene di cronaca nera, concorsi di bellezza e scandali”.
Questa realtà sembra molto vicina alla nostra come se il tratto temporale che ci separa sia stato omesso.
Una compagnia non di amici ma più che altro conoscenti; in prospettiva c'è l'arte, pittura e letteratura rilegata ad una piccola cerchia considerata stramba e irregolare, in una Italia che aveva altro a cui pensare.

Appaiono timidi simboli e metafore come quando De Sica dice a Cesira: “tu mi ricordi la mia Isotta, la protagonista del mio ultimo lavoro Noi che cerchiamo la pace”.
Ed è l'autentica descrizione di Cesira: Isotta, nella sua etimologia significa guerriera ed è in contrapposizione con il titolo della storia di cui è protagonista, Noi che cerchiamo la pace. Descrive così lo sceneggiatore il suo conflitto interiore.
Cesira è una giovane donna che si sente sola perchè è intelligente, mai eccessiva o patetica. Decisa e capace di difendersi, non ha paura di chiedere, è in conflitto con con la realtà ipocrita che la circonda. Infatti non appare mai falsa, in ogni situazione è sempre coerente.
Le donne come Cesira sono in aumento rispetto a ieri ma nonostante questo continuano a sentirsi sole.
Molte donne di ieri hanno cresciuto uomini migliori, più sensibili e curanti degli altrui sentimenti. Ma sono ancora troppo pochi.

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